Vegetazione

GESTIONE E MIGLIORAMENTO DEL BOSCO

Questo bosco è stato interessato recentemente da alcuni interventi di miglioramento, al fine di tutelarne la biodiversità floristica e faunistica e di facilitarne la fruizione da parte del pubblico. I lavori sono stati eseguiti nell’ottica di una gestione “naturalistica”, che prevede pratiche flessibili, basate sulla diversità e sull’unicità del singolo bosco, e quanto più simili alle naturali dinamiche del bosco.

Ad esempio, il taglio di alberi ad alto fusto viene limitato a pochi esemplari, selezionati in base allo stato di salute, all’età e alla posizione rispetto ad altri alberi, così da limitare l’ingresso di luce negli strati più bassi, evitando così lo sviluppo eccessivo di erbe ed arbusti del sottobosco e vengono salvaguardate specie arboree e arbustive di alto valore ecologico.

Tra le pratiche più importanti al fine di migliorare la composizione del bosco c’è la lotta alle specie alloctone invasive – ovvero specie non appartenenti alla fauna o flora originaria di una determinata area geografica, ma che vi sono giunte per l'intervento intenzionale o accidentale dell'uomo - la cui diffusione è tra le principali cause del declino della biodiversità. Queste specie, dette anche esotiche o aliene, costituiscono una seria minaccia per i nostri ecosistemi, entrando in competizione con le specie autoctone, ma possono causare anche problemi di natura economica e sanitaria.

Tra le specie alloctone più diffuse nel nostro territorio troviamo l’ailanto (Ailanthus altissima), la robinia (Robinia pseudoacacia), l’albero delle farfalle (Buddleja davidii) e il bambù (Bambusa vulgaris). Per quanto possibile queste specie vengono eradicate e sostituite da alberi e arbusti autoctoni, ma questa lotta si potrà vincere solo se ognuno farà la sua parte, preferendo essenze autoctone per abbellire giardini e balconi.

Infine, sia per garantire un accesso più facile e sicuro al bosco, sia per prevenire incendi boschivi, viene in parte rimossa la componente di vegetazione morta, tutelando però strutture importanti per la biodiversità, ad esempio creando cataste di legno morto in favore di insetti saproxilofagi e mantenendo alberi morti che presentino cavità utilizzate dalla fauna selvatica.

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IL LEGNO MORTO

Il legno morto è costituito da alberi morti o da parte di essi, sia ancora in piedi, che caduti a terra.

Il legno morto e le sue comunità viventi sono dei buoni indicatori della biodiversità e della naturalità degli ecosistemi forestali e si stima che circa un quarto di tutte le specie che vivono nelle foreste necessita di legno morto, in particolare funghi muschi, licheni e insetti saproxylofagi, come il cervo volante (Lucanus cervus).

Anche diverse specie di vertebrati sono legate alla presenza di questo elemento. Il picchio verde (Picus virdis) e il picchio rosso maggiore (Dendrocopos major) vi ricavano delle cavità che usano come nido e si cibano di invertebrati che si nascondono sotto alla corteccia. Le cavità abbandonate dai picchi, insieme a quelle naturali, sono utilizzate poi da civette e altri piccoli uccelli, in particolare cinciallegre e cinciarelle, oltre che da piccoli mammiferi come ghiri (Glis glis), scoiattoli (Sciurus vulgaris) e diverse specie di pipistrelli.

Alcune specie faunistiche favorite dalla presenza di legno morto:

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È uno dei coleotteri più grandi d’Europa, arrivando a misurare più di 80 mm di lunghezza. Il nome è dovuto alla presenza delle grosse mandibole, più sviluppate nel maschio che nelle femmine, che ricordano la forma dei palchi di un cervo. Queste vengono utilizzate nei combattimenti tra maschi durante il periodo riproduttivo. Il ciclo vitale di questi insetti può durare da 3 a 10 anni. Le uova vengono deposte alla base dei ceppi di alberi morti (preferibilmente: quercia, castagno, faggio, salice e pioppo) che vengono incisi dalle mandibole della femmina prima della deposizione. Alla schiusa nascono delle larve biancastre saproxylofaghe munite di potenti mandibole che utilizzano per incidere il legno e scavare lunghe gallerie. Al termine del loro sviluppo, quando misurano circa 10 centimetri di lunghezza ed 1 cm di diametro, queste larve scavano una celletta in cui avverrà la metamorfosi. Questa specie, un tempo piuttosto comune, è oggi da considerarsi prossima alla minaccia a causa della riduzione del suo habitat, in particolare per le pratiche forestali che tendono a eliminare i vecchi tronchi. È pertanto stato inserito tra le specie di interesse comunitario a livello europeo, citato nell’allegato II della direttiva Habitat e incluso nella Convenzione di Berna.

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Lo scoiattolo rosso è un piccolo roditore dalla pelliccia marrone/rossa, dalle orecchie grandi, che nel periodo invernale portano un caratteristico ciuffo di peli sulla punta, e dalla coda molto folta. Vive nei boschi di conifere e latifoglie e si nutre di semi di alberi, gemme, fiori, frutti, bacche, funghi e crea riserve di cibo per i periodi freddi. In inverno non va in letargo, ma riduce la sua attività. Gli scoiattoli rossi sono attivi durante le ore di luce, trascorrendo la notte nei nidi costruiti con rametti e foglie sulle biforcazioni dei rami o sfruttando cavità nel legno morto costruite da picchi o altri animali. La presenza dello scoiattolo rosso nei boschi è essenziale per il loro rinnovamento. Immagazzinando i semi, infatti, aiutano la diffusione di molte specie di piante aumentandone la dispersione e la capacità di germogliare. Questa specie risente della frammentazione e della degradazione dell’habitat e la sua sopravvivenza è minacciata anche dalla presenza dello scoiattolo grigio alloctono (Sciurus carolinensis). Uno strumento dell’Unione Europea per tutelare lo Scoiattolo rosso è il progetto Life+ Ec – Square che coinvolge amministrazioni comunali, università, ricercatori ed il Ministero dell’Ambiente (Per info: www.rossoscoiattolo.eu).

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I pipistrelli (detti chirotteri = animali che “volano con le mani”) a causa del loro stato di minaccia sono animali particolarmente protetti a livello europeo con numerose leggi nazionali e internazionali. Si tratta di animali davvero eccezionali, infatti sono gli unici mammiferi in grado di volare, grazie alla presenza di una membrana alare detta patagio, che si inserisce sulle lunghe dita. Utilizzano inoltre un sistema di orientamento molto particolare chiamato ecolocazione, che consiste nell’emissione di ultrasuoni che “rimbalzano” sulle superfici circostanti e ritornano al pipistrello fornendo informazioni precise sulla presenza e sulla distanza degli ostacoli. Si nutrono di insetti, che cacciano in volo, fornendo così un servizio di “bio-insetticidi” molto importante per l’uomo. I pipistrelli nidificano in grotte, edifici di origine antropica simili ai loro rifugi naturali, come sottotetti e anfratti, e utilizzano diverse parti degli alberi, come le scortecciature, le cavità naturali e quelle scavate da altri animali come i picchi. Le cassette nido per pipistrelli sono un ottimo modo per aumentare la disponibilità di rifugi per questi animali. Possono essere messe sugli alberi o sui muri delle abitazioni, ad un'altezza di 4-5m dal suolo. Un’importante attività di tutela dei chirotteri viene svolta dallo Sportello Pipistrelli, che ha sede presso il C.R.A.S. (Centro Recupero Animali Selvatici) di Valpredina (BG), gestito dal WWF.

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  • Serotino comune (Eptesicus serotinus): Frequenta principalmente zone ai margini dei boschi, alberi isolati e zone agricole prative, ma anche piccoli agglomerati urbani dove siano presenti parchi, giardini e prati e zone attorno ai lampioni stradali. Caccia lungo percorsi lineari, generalmente in un raggio di 4 km attorno al rifugio. Segnalata dal livello del mare fino a circa 1800 m di quota, predilige aree di bassa e media altitudine. I rifugi estivi sono principalmente situati in interstizi di edifici e più di rado in cavità arboree e nelle cassette nido per chirotteri. I rifugi invernali si ritrovano in edifici e cavità ipogee (Vigorita e Cucè, 2008)*.
  • Pipistrello nano (Pipistrellus pipistrellus): Specie in origine forestale, oggi nettamente antropofila, che preferisce centri abitati, grandi o piccoli. Utilizza ambienti di foraggiamento vari (formazioni forestali, agroecosistemi, zone umide, abitati), che sfrutta dal tramonto all’alba, in un’area di 1-2 km dal proprio rifugio, rappresentato da spazi interstiziali di edifici, rocce e alberi o bat box. Si accoppia nella tarda estate e in autunno. Le aggregazioni riproduttive sono solitamente formate da qualche decina di femmine, ma possono arrivare anche diverse centinaia di individui. Le nascite, in giugno-luglio, contano mediamente due piccoli, più raramente uno solo. Età massima accertata: 16 anni (Di Cerbo e Biancardi, 2011b)**.
  • Pipistrello di Savi (Hypsugo savii): Specie euriecia ed eurizonale, vive in tipologie ambientali varie, ambiti urbani compresi, dal livello del mare a oltre 3.000 m di quota (sulle Alpi arriva al limite della vegetazione arborea). A comportamento rupicolo, frequenta gli interstizi delle pareti rocciose e, più raramente, quelli delle cavità ipogee; è stata segnalata anche in cavi di alberi e sotto cortecce sollevate. Negli edifici ritrova condizioni analoghe negli interstizi: fessure dei muri, spazi dietro le imposte, piccoli volumi fra le tegole e il rivestimento dei tetti e fra i muri e gli oggetti appesi. Lascia i rifugi poco prima del tramonto e rientra all’alba. Può cacciare sia a bassa altezza (sull’acqua, presso le chiome degli alberi, attorno ai lampioni), sia a parecchie decine di metri dal suolo. Preda insetti di piccola taglia, in particolare Ditteri, Lepidotteri, Imenotteri e Neurotteri. Le colonie riproduttive contano 5-70 individui. Le nascite si concentrano in giugno-luglio, di solito gemellari, e gli accoppiamenti avvengono in agosto-settembre (Di Cerbo e Biancardi, 2011b)**.
  • Pipistrello albolimbato (Pipistrellus kuhlii): Specie spiccatamente antropofila, frequenta tipologie ambientali molto varie, compresi gli ambiti urbani, dove rappresenta la specie di chirottero più comune. Attivo già poco prima del tramonto, a volte addirittura di giorno, caccia comunemente sotto i lampioni, presso le fronde degli alberi o sopra superfici d’acqua. I rifugi naturali sono rappresentati da cavità degli alberi e fessure delle rocce, in sostituzione trova condizioni ottimali negli interstizi delle abitazioni, nelle bat box e in fessure artificiali. Le colonie riproduttive contano da poche unità fino ad oltre 100 femmine adulte, solo occasionalmente frequentate da maschi adulti. Le nascite avvengono in giugno-luglio, mediamente con due piccoli. Età massima accertata: 8 anni (Di Cerbo e Biancardi, 2011b)**.

* Vigorita V. & Cucè L. (eds.), 2008. La fauna selvatica in Lombardia - Rapporto 2008 su distribuzione, abbondanza e stato di conservazione di uccelli e mammiferi, Regione Lombardia, Milano.
** Di Cerbo A. R. & Biancardi C. M., 2011b. IT2050003 – Palude di Brivio. Piano di Gestione. Assetto faunistico: Mammiferi, Anfibi, Rettili, Odonati. Parco Adda Nord. Inedito.

IL QUERCO-CARPINETO • Medolago

Il bosco che ci circonda è riconducibile alla formazione vegetale, ormai sempre meno comune, tipica della Pianura Padana: il querco-carpineto.
Si tratta di un bosco formato principalmente da querce, in particolare rovere (Quercus petraea) e farnia (Quercus robur), e da carpini bianchi (Carpinus betulus).
A queste specie dominanti si affiancano acero campestre (Acer campestre), pioppo bianco (Populus alba), frassino (Fraxinus excelsior) e olmo (Ulmus minor).

Una porzione del bosco è caratterizzata anche dalla presenza di Robinia pseudoacacia, pianta esotica, di origine nordamericana, importata in Europa già a partire dal Seicento e ormai naturalizzata in molte aree del nostro continente: con la sua prorompente diffusione tende a sostituire le specie autoctone, originarie dei luoghi, portando nel tempo ad un cambiamento della composizione dei boschi, ad una riduzione della biodiversità e alla modifica del paesaggio.

Il sottobosco, costituito oltre che dalla rinnovazione delle specie arboree, anche da uno strato arbustivo composto per lo più da nocciolo (Corylus avellana), biancospino (Crataegus monogyna), corniolo (Cornus mas) ed evonimo (Euonimus europaeus), riveste un ruolo di fondamentale importanza perché luogo di rifugio e di alimentazione per molte specie di uccelli e micromammiferi.
Degna di nota è la presenza, tra gli arbusti, del pungitopo (Ruscus aculeatus), particolarmente protetto poiché la raccolta indiscriminata, soprattutto per impiego in decorazioni floreali, ne ha ridotto notevolmente la diffusione.

Nello strato erbaceo si distinguono alcune specie nemorali, dalla vivace fioritura primaverile: il bucaneve (Galanthus nivalis), il campanellino (Leucojum vernum), l’anemone bianco (Anemonoides nemorosa), la scilla silvestre (Scilla bifolia), il dente di cane (Erythronium dens-canis), la primula (Primula vulgaris), la pervinca (Vinca sp.). La fioritura di queste ed altre piante erbacee, come quella di arbusti ed alberi, è cruciale per la sopravvivenza degli insetti impollinatori: un buon motivo, questo, per lasciare che i fiori possano quindi assolvere alla loro funzione in natura, evitandone la raccolta, in alcuni casi anche vietata o regolamentata dalla normativa regionale (Legge regionale 31 marzo 2008 - n. 10 Disposizioni per la tutela e la conservazione della piccola fauna, della flora e della vegetazione spontanea).

La tutela di questo complesso ecosistema forestale sostiene una biodiversità floristica e faunistica che potrebbe sfuggire all’occhio dei meno esperti, ma che di sicuro è capace di affascinare quando ha le vesti, ad esempio, di uno scoiattolo rosso (Sciurus vulgaris) in arrampicata sui tronchi degli alberi, piccolo roditore autoctono, la cui presenza non deve essere data per scontata, visto il declino della popolazione causato dalla riduzione del suo habitat ottimale e dalla competizione con lo scoiattolo grigio americano (Sciurus carolinensis).

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IL QUERCO-CARPINETO • Robbiate

Il bosco che costeggia il fiume in questo tratto di Robbiate è riconducibile alla formazione vegetale, ormai sempre meno comune, tipica della Pianura Padana: il querco-carpineto.
Si tratta di un bosco formato principalmente da querce, in particolare rovere (Quercus petraea) e farnia (Quercus robur), e da carpini bianchi (Carpinus betulus).

A queste specie dominanti si affiancano castagno (Castanea sativa), frassino maggiore (Fraxinus excelsior), acero di monte (Acer pseudoplatanus), acero campestre (Acer campestre) e olmo campestre (Ulmus minor).

Il sottobosco, costituito oltre che dalla rinnovazione delle specie arboree, anche da uno strato arbustivo composto per lo più da nocciolo (Corylus avellana), biancospino (Crataegus monogyna), corniolo (Cornus mas) ed evonimo (Euonimus europaeus), riveste un ruolo di fondamentale importanza perché luogo di rifugio e di alimentazione per molte specie di uccelli e micromammiferi.

Degna di nota è la presenza, tra gli arbusti, del pungitopo (Ruscus aculeatus), particolarmente protetto poiché la raccolta indiscriminata, soprattutto per impiego in decorazioni floreali, ne ha ridotto notevolmente la diffusione.

Nello strato erbaceo si distinguono alcune specie nemorali, dalla vivace fioritura primaverile: il bucaneve (Galanthus nivalis), il campanellino (Leucojum vernum), l’anemone bianco (Anemonoides nemorosa), la scilla silvestre (Scilla bifolia), il dente di cane (Erythronium dens-canis), la primula (Primula vulgaris) e la pervinca (Vinca sp.).  La fioritura di queste ed altre piante erbacee, come quella di arbusti ed alberi, è cruciale per la sopravvivenza degli insetti impollinatori: un buon motivo, questo, per lasciare che i fiori possano quindi assolvere alla loro funzione in natura, evitandone la raccolta, in alcuni casi anche vietata o regolamentata dalla normativa regionale (Legge regionale 31 marzo 2008 - n. 10 Disposizioni per la tutela e la conservazione della piccola fauna, della flora e della vegetazione spontanea).

La tutela di questo complesso ecosistema forestale, anche attraverso interventi di gestione in ottica “naturalistica”, sostiene una biodiversità floristica e faunistica di inestimabile valore. Ad esempio, la tutela di un habitat fondamentale quale il legno morto, favorisce la presenza di una fauna ricca e variegata. Il picchio verde (Picus virdis) e il picchio rosso maggiore (Dendrocopos major) ricavano nei tronchi ancora eretti delle cavità che usano come nido e si cibano di invertebrati che si nascondono sotto alla corteccia. Queste cavità, una volta abbandonate, vengono spesso utilizzate da civette e altri uccelli, oltre che da piccoli mammiferi come ghiri (Glis glis), scoiattoli (Sciurus vulgaris) e pipistrelli di diverse specie. Il legno morto a terra ospita invece una moltitudine di invertebrati, in particolare insetti saproxylofagi (= che si nutrono di legno morto), come l’ormai rarissimo cervo volante (Lucanus cervus).

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La carta d’identità della vegetazione

Acero Campestre

Acero di Monte

Bagolaro

Biancospino

Carpino bianco

Castagno

Corniolo

Evonimo

Farnia

Frassino maggiore

Gelso bianco

Gelso nero

Nocciolo

Olmo Campestre

Ontano nero

Pioppo nero

Pungitopo

Rovere

Salice bianco

Sanguinello